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12/11 LA MECCANICA DELLA FELICITÀ

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: “Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell’olio in piccoli vasi.

Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene.
Ora, mentre quelle andavano per comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa.

Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco.

Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”.

Mt 25, 1-13

Mi succede spesso. Un brano di vangelo che avrai sentito, letto o meditato centinaia di volte, ti rivela un particolare che non avevi notato. Un particolare che fa la differenza.

La parabola è abbastanza conosciuta: dieci vergini che aspettano uno sposo. È notte, bisogna avere le lampade. Cinque sono sagge e si portano anche l’olio per la ricarica (oggi ci porteremmo un powerbank per il cellulare), cinque sono stolte e si portano solo le lampade con l’olio che hanno già. Già scontata la fine: l’olio si consuma perché lo sposo tarda e quindi le cinque stolte sono nei guai. Noi che assistiamo alla scena da spettatori ci dividiamo in diverse fazioni: “Brave sagge! Così è ora che le stolte imparino!”, “Che misere che siete sagge: potevate aiutare le stolte” “No, bisogna fargliela pagare!”, “No, bisogna aiutare”. Insomma i commenti da post di Facebook. Niente di nuovo.

Poi la novità. Una rilettura più attenta. Anche perché è tutto nell’incipit della parabola:  Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Quindi la felicità non è nell’olio, non è nella veglia assidua (tutte si addormentano!), la felicità è nel voler andare incontro a Gesù che viene. La felicità è nel voler partecipare a una festa dove qualcuno ti chiama. In fondo le vergini altro non sono che le giovani della famiglia della sposa non ancora maritate, e allora la felicità è partecipare a una festa più grande di me.

Che novità mi dice questo versetto? Che la felicità non è nella saggezza. Ma che la saggezza dà le istruzioni per una corretta felicità. Non è solo un gioco di parole. La felicità è qualcosa che mi tocca in dono, viene fuori da me. È nella scelta di uno sposo. Che meno male che si sposa: così mi tocca una festa che altrimenti avrei perso. E il mio protagonismo dove me lo gioco? Nella mia preparazione e nella mia partecipazione. Le vergini si saranno vestite bene e abbellite, avranno goduto già della festa pensando alla festa stessa. Avranno condiviso emozioni, pensieri, preparativi.

E servono tutti e due per essere davvero felici: dono e partecipazione. Quindi è felicità il dono che mi viene dato. È felicità la mia partecipazione a questo dono. Ed è una felicità che passa attraverso le cadute (di sonno e di stile), i dubbi (ma ‘sto sposo arriva?), i freddi (in fondo è notte!).

Perciò la perdita della felicità non è nello sbagliare, nel peccare. È in alcuni errori madornali. Uno è la mediocrità. Il non pensare all’olio. È come  prendere una macchina e pensare di andare lontano con il serbatoio in riserva! E il bello che è la lampada stessa che ce lo dice. C’è un magistero del creato che ci insegna la felicità. E non pensarci è quanto di più sciocco ci sia!

Eppure quante volte ci capita: quante relazioni facciamo naufragare perché non le coltiviamo a dovere, pur sapendo che il non farlo le destina a fallire? Quante volte tradiamo i nostri valori sapendo benissimo che dopo non staremo affatto meglio? Quante volte non curiamo le nostre passioni e i nostri talenti lamentandoci degli scarsi risultati successivi? Davvero la lezione dell’olio non l’abbiamo imparata: l’olio per lubrificare la meccanica della felicità è dentro le cose che usiamo, le relazioni che viviamo, i sogni e i progetti che facciamo.

Non prenderlo porta all’infelicità perché la meccanica si rompe sui tempi lunghi.

Non prenderlo è sciocco proprio perché c’è già. A portata di mano. A portata di felicità.


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