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25/12 BUON NATALE

Babbo Natale ci porta tanti regali.

Dio ci dona se stesso.

Spesso preferiamo il primo in modo esclusivo per abbaglio, senza ricordarci che è come nell’amicizia: chi dona se stesso, dona anche la sua bellissima capacità di farti dei regali graditi, inaspettati, meravigliosi.

Buon Natale a tutti… e che l’amicizia di Gesù possa donare a ciascuno quella pace del cuore che è pienezza di vita, lancio verso gli altri, costruzione di un mondo migliore.

Dal Vangelo secondo Marco 1,1,-8

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 1,1-18.
In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.
Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe.
Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto.
A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome,
i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli rende testimonianza e grida: «Ecco l’uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me».
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia.
Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato. 

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10/12 PREPARATE BUONE NOTIZIE

Dal Vangelo secondo Marco 1,1,-8

Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Come sta scritto nel profeta Isaìa:
«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via.
Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.
Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

Questa settimana di avvento ci regala l’identikit della Bella Notizia di Gesù, tanto uomo quanto Dio.

Innanzitutto l’inizio del vangelo è un inizio già iniziato. Come la vita. Quando nasciamo sono in realtà già nove mesi che siamo nati e ancora di più perché siamo nati nelle vite dei nostri genitori e delle persone che ci hanno preceduto. Le buone notizie non nascono mai dal nulla e anche la Buona notizia per eccellenza non fa eccezione.

All’inizio del vangelo poi c’è sempre qualcuno. Perché la bella notizia è questione di relazione. Per questo c’è sempre qualcuno che  ci introduce alla fede passando per la vita. Accetta di non essere popolare parlando nel deserto, accetta di parlare di rinnovamento personale, di vita nuova. Essere nuovi lavati a nuovo (ecco perché l’acqua) per vivere una vita nuova anche nel deserto (ecco perché l’acqua).

Per accettare la buona notizia bisogna convertirsi, perché non c’è sordo peggiore di chi non vuole ascoltare.

E per convertirsi bisogna ammettere i propri peccati, i propri limiti, i propri sbagli.

Ma c’è un altro motivo… è quando ammetto i miei sbagli che posso chiedere aiuto e accettare la vera Buona Notizia, ovvero che c’è Qualcuno che battezza in Spirito Santo, che può fare quello che crediamo impossibile, rendere permanente la felicità.

Allora lì comprendo che dietro l’inizio iniziato c’è Lui, dietro i tanti “qualcuno” che mi aiutano c’è Lui, che dietro il desiderio di migliorarmi e migliorare c’è Lui, che ogni volta che cado c’è sempre Lui di fianco a me pronto non solo a rialzarmi ma a farmi nuovo.

La Buona Notizia per tutti è che c’è Lui (o se preferite che Lui c’è!). I preparativi per la Buona Notizia sono tutti i nostri sforzi per fare questi passi e aiutarli a farli fare.

In fondo l’inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio, non è così?

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3/12 AUTORI DI BUONE STORIE

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 13,33-37.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso.
È come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare.
Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all’improvviso, trovandovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!». 

Quando sentiamo questo vangelo il rischio di un pensiero anomalo c’è. Che alla fin fine, siccome non sappiamo né il giorno, né l’ora, dobbiamo stiamo bene attenti perché quando Gesù tornerà, ci giudicherà.

Comportiamoci bene perché il giudizio di Dio fa paura. Come i vigliacchi.

O comportiamoci bene perché Dio ci ricompenserà. Come dei mercenari.

È iniziato l’Avvento. E l’avvento avviene e non accade. Ciò che accade, capita, ci cade di fianco, ci cade addosso senza un perché. Ciò che accade è accidentale, quindi fortuito.

Cio che avviene invece ci viene incontro. C’è un’intenzionalità. Un’intenzionalità bella e che punta al futuro, perché avvento, avvenire e avvenente hanno la stessa radice.

Forse Gesù che viene ci vuole dire di vegliare perché se dormiamo ci perdiamo le cose più belle.

Certo che il nostro tempo è limitato e quindi bisogna vegliare perché non abbiamo un’altra vita.  Certo che da come viviamo oggi vivremo quel domani senza fine, perché siamo coerenti. Perché se non ci alleniamo a vedere il Bello, il Buono e il Vero ora, qui, dove viviamo, quando questi arriveranno nella forma più perfetta, potremmo essere capaci persino di girarci dall’altra parte.

Ma non basta ancora. Si dice che noi viviamo nel “già” e verso il “non ancora”. Io credo che i due siano legati. Per questo Gesù ci dice che c’è la vita eterna ma c’è anche un centuplo quaggiù da vivere.

Vegliare è cercare quel centuplo. Un centuplo che viene da Dio. Perché se Dio ci ha creato già nella creazione c’è il volto di Dio. Perché se Dio si è incarnato già nella vita umana ci sono tracce di Dio.

Vegliare è cercare quelle tracce. Che ci permettono di scommettere sulla felicità. Sicuramente incompleta, non costante, che chiede ogni giorno la pienezza che in questa vita terrena non ci è concessa totalmente, ma comunque felicità. Perché quando uno scommette sulla felicità, la felicità diventa la sua vita. E allora ogni giorno diventa un giorno dove puntare alla felicità. Dove vegliamo per capire dove si nasconde la felicità.

J.R. Rowling, l’autrice di Harry Potter, ha finito il suo discorso ad Harvard per i laureati del 2008 con una frase di Seneca: “La vita è come un racconto: non è importante quanto sia lunga, ma quanto sia buona”.

Credo che vegliare sia semplicemente cercare ogni giorno quei gesti da scrivere nel racconto della nostra vita perché sia un buon racconto e un racconto buono. E anche se non so quando arriverà il momento dell’ultima pagina, la notizia meravigliosa è che oggi posso ancora scriverla. La notizia meravigliosa è che se mi alleno ogni giorno a scrivere una pagina bella, buona, vera… non importa sapere quando sarà l’ultima pagina: ogni pagina è già un capolavoro.

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26/11 PECCATO NON FARLO!

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 25, 31-46)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

 

Quando ero piccolo mi hanno insegnato la classifica dei peccati.

Al primo posto c’è la “vera e totale disperazione”. Quando pur credendo, pensi consapevolmente e pienamente che Dio non possa fare più niente per te. È la bestemmia contro lo Spirito Santo, è la differenza tra Giuda e Pietro: entrambi tradiscono e rinnegano, entrambi si ravvedono, uno però la finisce perché non vede un futuro possibile, l’altro torna e torna a fare il capo, e ce la fa solo perché si affida a Dio.

Al secondo posto ci sono le “omissioni”, quando non fai il bello che potresti fare.

Poi i peccati con le azioni. Poi quelle con le parole. Poi quelli con i pensieri… i più difficili da estirpare perché li vedono bene solo i santi.

Il vangelo di oggi punta al secondo. Perché alla fine saremo giudicati sull’amore.

Pare che il 3°, 4° e 5° posto siano completamente tralasciati.

Significa che possiamo peccare e sbagliare liberamente? No significa essenzialmente 3 cose.

Noi non possiamo non sbagliare e non possiamo non peccare. Perciò diventiamo santi solo da peccatori. Il bene lo facciamo sempre mescolato a qualche sbaglio, a qualche peccato. Prima lo capiamo, prima puntiamo più energie a fare il bene.

Più fai il bene, più il male ha meno spazio in te. Più fai il bene e più la tua anima è portata a fare il bene. Un po’ come il corpo con l’allenamento fisico.

Più fai il bene e più copri una marea di peccati. È Dio l’unico che trasforma i peccati, che li annulla e ci rende creature nuove. Ogni volta che facciamo del bene, del bene vero, anche faticoso, ci avviciniamo a Dio e ci lasciamo trasformare un po’ di più.

E poi fare il bene ci rende protagonisti. Ci rende più soddisfatti rilasciando endorfine che ci fanno star meglio. Inoltre fare del bene a chi soffre ci aiuta a relativizzare molti nostri problemi e ci fa stare meglio con gli altri.

Dio tutto questo lo sa e ci ama così tanto che permette che questi benefit arrivino anche a chi fa del bene non nel suo nome. Tanto sa che ogni passo nel bene porta al Bene… e quindi a Lui.

Ora capisci perché è un peccato non farlo… il bene?

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19/11 QUANTE COSE (NON) SAPPIAMO

Mt 25, 14-30
Dal Vangelo secondo Matteo

Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: «Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque». «Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone». Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: «Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due». «Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone». Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: «Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo». Il padrone gli rispose: «Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti».

È una di quelle parabola che “si sa”.  Così si sa anche il commento.

Si sa che i talenti erano dapprima un’unità di misura e poi delle monete di grande valori. E per questo sappiamo che hanno un peso e un valore tutti i talenti di cui disponiamo nella vita.

Si sa che il mondo conta la quantità, ma per il Vangelo conta solo il “tutto”. Così non importa chi ne ha cinque, due o uno, tanto la fatica è la stessa: bisogna dare tutto quello che si ha. Perciò non si lamenti chi pensi di aver poco perché pensa di non poter far molto, e non si lamenti chi ha molto pensando di dover lavorar di più. Quel “secondo capacità di ciascuno” ci dice che la fatica del vivere bene è una fatica comune anche se svolta diversamente. E anche questo lo sappiamo.

Si sa che i primi due fanno bene i compiti per le vacanze, anzi per la vacanza dell’ufficio del capo che si è assentato. Il terzo invece no.

Si sa che lo fa per paura. Come si sa che la paura è una gran butta bestia. Che fa morire amicizie, amori, progetti, sogni.

Si sa che ci da fastidio che poi il talento dissotterrato va completare i primi undici talenti (equivocando fin da allora il connubio calcio e soldi) di quello che ha fatto i maggiori investimenti.

E si sa che ci passa un brivido di timore quando sappiamo che al servo non viene data nessun altra possibilità.

Si sa. Lo sappiamo.

E allora perché ancora oggi continuiamo a fare gli stessi errori con i nostri talenti?

P.S.: Gli amici del Piemonte e della Valle d’Aosta hanno festeggiato la Solennità della Chiesa Locale e quindi avevano un altro Vangelo: quello del tralcio che porta frutto, che viene potato perché porti più frutto. Se ci pensate bene però è molto collegato a questo brano: racconta perché Dio ci abbia donato i talenti e il modo di lavorarci su.

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12/11 LA MECCANICA DELLA FELICITÀ

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: “Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell’olio in piccoli vasi.

Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene.
Ora, mentre quelle andavano per comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa.

Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco.

Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”.

Mt 25, 1-13

Mi succede spesso. Un brano di vangelo che avrai sentito, letto o meditato centinaia di volte, ti rivela un particolare che non avevi notato. Un particolare che fa la differenza.

La parabola è abbastanza conosciuta: dieci vergini che aspettano uno sposo. È notte, bisogna avere le lampade. Cinque sono sagge e si portano anche l’olio per la ricarica (oggi ci porteremmo un powerbank per il cellulare), cinque sono stolte e si portano solo le lampade con l’olio che hanno già. Già scontata la fine: l’olio si consuma perché lo sposo tarda e quindi le cinque stolte sono nei guai. Noi che assistiamo alla scena da spettatori ci dividiamo in diverse fazioni: “Brave sagge! Così è ora che le stolte imparino!”, “Che misere che siete sagge: potevate aiutare le stolte” “No, bisogna fargliela pagare!”, “No, bisogna aiutare”. Insomma i commenti da post di Facebook. Niente di nuovo.

Poi la novità. Una rilettura più attenta. Anche perché è tutto nell’incipit della parabola:  Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Quindi la felicità non è nell’olio, non è nella veglia assidua (tutte si addormentano!), la felicità è nel voler andare incontro a Gesù che viene. La felicità è nel voler partecipare a una festa dove qualcuno ti chiama. In fondo le vergini altro non sono che le giovani della famiglia della sposa non ancora maritate, e allora la felicità è partecipare a una festa più grande di me.

Che novità mi dice questo versetto? Che la felicità non è nella saggezza. Ma che la saggezza dà le istruzioni per una corretta felicità. Non è solo un gioco di parole. La felicità è qualcosa che mi tocca in dono, viene fuori da me. È nella scelta di uno sposo. Che meno male che si sposa: così mi tocca una festa che altrimenti avrei perso. E il mio protagonismo dove me lo gioco? Nella mia preparazione e nella mia partecipazione. Le vergini si saranno vestite bene e abbellite, avranno goduto già della festa pensando alla festa stessa. Avranno condiviso emozioni, pensieri, preparativi.

E servono tutti e due per essere davvero felici: dono e partecipazione. Quindi è felicità il dono che mi viene dato. È felicità la mia partecipazione a questo dono. Ed è una felicità che passa attraverso le cadute (di sonno e di stile), i dubbi (ma ‘sto sposo arriva?), i freddi (in fondo è notte!).

Perciò la perdita della felicità non è nello sbagliare, nel peccare. È in alcuni errori madornali. Uno è la mediocrità. Il non pensare all’olio. È come  prendere una macchina e pensare di andare lontano con il serbatoio in riserva! E il bello che è la lampada stessa che ce lo dice. C’è un magistero del creato che ci insegna la felicità. E non pensarci è quanto di più sciocco ci sia!

Eppure quante volte ci capita: quante relazioni facciamo naufragare perché non le coltiviamo a dovere, pur sapendo che il non farlo le destina a fallire? Quante volte tradiamo i nostri valori sapendo benissimo che dopo non staremo affatto meglio? Quante volte non curiamo le nostre passioni e i nostri talenti lamentandoci degli scarsi risultati successivi? Davvero la lezione dell’olio non l’abbiamo imparata: l’olio per lubrificare la meccanica della felicità è dentro le cose che usiamo, le relazioni che viviamo, i sogni e i progetti che facciamo.

Non prenderlo porta all’infelicità perché la meccanica si rompe sui tempi lunghi.

Non prenderlo è sciocco proprio perché c’è già. A portata di mano. A portata di felicità.

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29/10 TEMPO FUTURO PRESENTE

Mt 22, 34-40
Dal Vangelo secondo Matteo

Allora i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Questa volta è proprio una questione di tempi.

Amerai. Futuro. La domanda era sul presente. E la risposta è sul futuro. Perché?

Perché è un tempo di stile di vita nuova.

Amerai. È vita nuova. Perché, se fino ad oggi non hai amato, amerai. Da oggi in avanti. Non pensare più agli errori, ai peccati, alle ricadute, alle miserie, alle disgrazie. Concentrati sull’amare.

Amerai. È vita nuova. Perché è processo, tradizione, fedeltà. Perché le uniche fedeltà sono quelle che puntano le fondamenta sul futuro e per questo fanno vivere bene il presente e ridanno una nuova luce al passato.

Amerai. Perché devi imparare. Ad amare Dio… da Dio, cioè con tutto di te. Ad amare il prossimo come conseguenza e pienezza dell’amore per sé. Perché anche noi siamo creature e dobbiamo amarci perché Dio ci ha amato. E quel “perché” è complemento di  causa, di effetto e di fine.

Amerai. E scoprendo ogni giorno il volto dell’amore capiremo che tutta la Legge e i Profeti dipendono dall’amore. Certo Gesù voleva dire ai farisei che prima di tutto, prima della vostra storia, delle vostre abitudini, persino della vostra Bibbia, ci deve esser l’amore. Ma come è bello vederci anche che dall’amore devono nascere le nostre regole, le nostre leggi personali e sociali. E dall’amore dipende anche la profezia, cioè la visione sul futuro, la capacità di progettare.

Ama. Saprai come vivere l’oggi e cosa costruire per il domani. Anzi no “Amerai”, perché osi puntare tutto sull’amare che dura anche domani. Siamo fragili, per questo ci sembra meglio puntare su un attimo solo, sull’amare adesso. Ma nessun sogno si costruisce al ribasso. Perciò: “Amerai!”. E ti accorgi che sei sulla buona strada. Perché per dire che domani avrai amato, devi iniziare ad amare oggi.

Ridillo: “Amerai!” imperativo di un’incertezza devastante che regge solo se poggia su chi ha la certezza dell’Amore. Non perché la sa, ma perché lo è.