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11/12 OCCHIO, MANO E TESTA

Che settimana. La terra trema ancora, in Siria è oramai tragedia senza paragoni, i profughi arrivano, anche questa settimana qualcuno ha ammazzato una moglie e dei figli. Fino alla settimana scorsa eravamo soliti commentare: “Sembriamo senza governo!”. Adesso lo siamo anche. 

Che vangelo. Giovanni sente parlare delle opere di Gesù e chiede se Gesù è davvero chi pensa che sia. Gesù risponde con un elenco di opere. Sembra quasi un discorso di fine mandato: “Abbiamo fatto questo… quello…”.

Quale il nesso tra la settimana e il vangelo? L’interrogarci su tre dimensioni.

L’occhio. Cosa guardiamo? L’apparenza o la profondità? Siamo quelli che ritaggano ogni bufala su internet indignandoci e digrignando denti di fronte a notizie inesistenti o siamo quelli che si informano, che chiedono? Spettegoliamo o facciamo verità?

La mano. Cosa facciamo? Perché Gesù risponde con un elenco di opere quando Giovanni è partito dalle opere per chiedere di Gesù? Perché è vero che dai frutti li riconoscerete. Le nostre azioni, soprattutto quando sono opere, dicono chi siamo. Non è possibile evitare il passaggio delle azioni. Chi ama deve dimostrarlo con i fatti. Chi è onesto deve dimostrarlo con i fatti. Chi crede in qualcosa (o in qualcuno) deve dimostrarlo con i fatti. Questo non solo per coerenza ma per essenza. Perché siamo anima e corpo e l’azione è riflesso di quello che facciamo.

La testa. Cosa pensiamo? Perché se è vero che le opere dicono chi siamo, è anche vero che anche il pensiero è un’azione. Se Gesù risponde in quel modo è perché fa vedere il motivo delle sue azioni, il progetto che sta dietro le azioni. Le azioni dicono pienamente chi siamo quando sono intenzionali e progettuali, quando dicono la visione che ci sta dietro.

Il vangelo di questa settimana ci dice che abbiamo bisogno di occhio, mano e testa… e se tranne in qualche film o fiction non avete mai visto un occhio girare da solo, una mano muoversi staccata dal corpo o una testa parlare sospesa per aria… beh è perché devono lavorare sempre tutte e tre insieme, accettando la fatica dello stare insieme. 

Il cammino d’avvento continua, proviamo a viverlo con occhio, mano e testa. Insieme.

Mt 11,2-11

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».

Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». 

Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.

In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

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4/11 CONVERTITEVI

Convertirsi ovvero voltarsi con forza. Sterzare a più non posso perché c’è un ostacolo o perché all’ultimo secondo hai capito che quella di destra era l’uscita giusta che il navigatore ti indicava, e che tu non avevi capito.

Convertirsi perché il Regno di Dio è vicino. Ovvero perché c’è la felicità è da quella parte, e solo un pazzo non sterzerebbe verso la felicità dopo averla vista.

Perché ci si converte del tutto solo quando si è capito che il Regno di Dio è da quella parte. Altre conversioni dettate da paure non reggono a lungo.

Siamo alberi chiamati a portare frutto e se non lo portiamo non abbiamo molto senso. Per questo verremo abbattuti e bruciati perché almeno serviremo a qualcosa.

Parole dure? E non siamo forse noi duri quando non vogliamo capire la felicità anche quando ci passa vicino? Continuamente lasciamo abbandonati per strada pacchi di felicità che non abbiamo avuto neanche il coraggio di aprire. Oppure siamo andati avanti a usare doni senza leggere libretti d’istruzione e così abbiamo continuato a usare lettori dvd come tostapane, lamentandoci di non vedere da tempo un buon film e di come i toast ultimamente siano sempre freddi e crudi.

Convertirsi perché è una strada senza via d’uscita quella che non mette a sistema la ricerca della felicità.

Convertirsi perché è una falsa strada quella che non lega il Regno di Dio alla felicità dell’uomo.

Convertirsi perché quando ti accorgi che non sei sulla strada giusta devi invertire marcia. A volte puoi permetterti di aspettare una rotonda, a volte devi svoltare subito, a volte infine, devi uscire, pagare il pedaggio e poi rientrare prendendo la direzione giusta. Ma quello che conta, al netto delle arrabbiature per gli sbagli, è tornare sulla famosa “retta via”. Sapendo che a volte abbiamo trovato la strada solo perché l’avevamo sbagliata prima.

Convertirsi. Il Regno dei Cieli è vicino. Occhio alla svolta. Se no, perdi la felicità. E poi non porti più frutto. E chi non porta frutto è arido e secco. E le cose secche e aride si bruciano facilmente.

Convertirsi perché niente è meno originale della reiterazione del male e tutto concorre al bene quando al bene è orientato.

Convertitevi e fate un frutto degno della vostra conversione, perché dai frutti li riconoscerete. Perché il frutto ha nuova vita in sé.

Convertitevi. Come a dire… Prendi la giusta via.

Mt 3, 1-12
Dal Vangelo secondo Matteo

In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».
E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

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VEGLIA IL CUORE, SVEGLIA LA VITA!

E volgendosi ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete». 

Certo che La Parola di Dio è una fonte inesauribile di ispirazione e  sorprese. Questo per esempio è un classico 1×3: un versetto e tre grandi verità.

La Prima è sullo stile. Gesù si rivolge ai discepoli, a chi cioè ha deciso di imparare con la propria vita. Non basta leggere la PdD o proclamare qualche preghiera! O si vive legati a Gesù, da discepoli, o il rischio è di avere un regalo enorme di fianco a sé che non si apre mai.

Seconda la preghiera. Gesù parla in disparte. Se è vero che i santi trasformavano tutta la vita in una grande preghiera, è pur vero che ci sono momenti esclusivi. E proprio in quei momenti sembra che Dio parli più esplicitamente e illumini di senso quello che viviamo.

Terzo la felicità. Essere Beati. La nona beatitudine, che racchiude tutte le altre otto, è vedere Gesù tra le righe della nostra quotidianità. E chi vede Gesù sa essere distaccato dalle cose, mite, sa vivere anche la persecuzione. Perché non è solo. È in compagnia di Dio che sa farsi bambino per me, che dà la sua vita per me, che vince la morte e ogni morte per me. Per questo chi vede Dio è felice. Più di un re o di un magnate. Perché ha scoperto come trovare anche nei momenti più oscuri un gancio con la felicità.

Tre bei regali di Natale, no?

“Veglia il cuore, sveglia la vita! Buona giornata!”

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20/11 APRIRE GLI OCCHI. APRIRE IL CUORE

E il popolo stava a vedere.

A livello mondiale si chiude una porta santa mentre, per fortuna, la porta della Misericordia rimarrà spalancata. A livello locale, casa mia, è tempo del secondo sacramento per il primogenito. Simone si confessa per la prima volta.

E il popolo stava a vedere.

“Ma se non mi viene in mente nessun peccato?”

“Ti aiuta il prete”

“Perché lui li sa tutti?”

“No perché è un dialogo”

E il popolo stava a vedere.

“Ma scusa Gesù non è dappertutto? Non mi ascolta sempre? Perché devo andare dal prete?”

“Gesù ha scelto i sacramenti per ricordarci che ci salviamo nella creazione e nella relazione. Hai bisogno tu della confessione, non Dio. E poi perché così hai un confronto.”

E il popolo stava a vedere.

“Papà ho paura… non so se ho capito bene! Quando le catechiste spiegavano c’era confusione… e se mi sbaglio?”

“Simone, Gesù ha dato la vita per i nostri sbagli. Ha dato la vita anche per chi lo ha deriso, l’ha umiliato, la schiaffeggiato. Perciò il problema non è cadere… ma è decidere di rialzarsi. Quando hanno crocifisso Gesù c’erano i capi che deridevano Gesù, dei soldati che erano come certi bulli a scuola, un malvivente che lo sfidava. E poi c’era un ladrone, che proprio dopo tanti errori si accorge di aver sbagliato, si accorge che Gesù è la strada giusta. Nota che non ha nessuna speranza di salvarsi, morirà lo stesso giorno come Gesù, ma proprio per questo capisce che Gesù non è solo un uomo. Capisce che è il vero Re perché è Dio e gli chiede di diventare il Re del suo cuore”.

E il popolo stava a vedere.

“Quindi io devo fare come il ladrone”

“Sarebbe bello. Ancora più bello sarebbe essere come il buon ladrone delle ultime ore senza dover frodare e rubare per una vita. Ma l’importante Simone è non fare come il popolo”

“E cosa faceva?”

“È rimasto a guardare. L’omissione, cioè non fare il bene che potresti fare, rimane il secondo peccato più grande dopo la disperazione. Non stare mai a guardare Simone. Fai qualcosa, sbaglia ma non stare mai a guardare”.

Lc 23,35-43

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

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13/11 PIETRA SU PIETRA

Agli abitanti del centro Italia il vangelo di questa settimana sarà suonato significativo e purtroppo troppo vicino.

La stessa cosa  a chi vive in Sira, Ucraina, Afganistan o uno degli altri 64 stati attualmente coinvolti in guerre.

In modo diverso sarà successo ai democratici statunitensi e a tutti quelli che vivono una sconfitta ma anche un tradimento, un’ingiustizia.

È davvero la fine? Verrebbe da pensarlo. Ma lo stesso pensiero a me è venuto altre volte e tutte le volte finito (se mai finisce) il tutto ti viene da pensare: “Siamo ancora qua!”.

È questo quello che conta? È questa la fine? Per il vangelo no. La fine è come vivi perché nel come vivi è nascosto il fine. Il fine è vivere nel modo giusto, la fine si ha quando vivi in malo modo. Vivere è capire ogni giorno il modo giusto evitando il malo modo.

Per Gesù quello che conta è la perseveranza, essere duri oltre ogni dramma e avversità. E questa durezza è qualcosa che o ha radici in alto o non attecchisce nella terra delle nostre quotidianità.

Il brano durissimo del vangelo precede e annuncia la Pasqua, nel capitolo successivo inizierà la preparazione dell’ultima cena.  E se è vero che diciamo che per ogni venerdì di croce c’è sempre una domenica di Risurrezione, dobbiamo ammettere che è vero anche l’opposto. Pasqua è passaggio e passare il varco, andare avanti costa. Sempre. O perché fatichiamo per cambiare qualcosa o perché fatichiamo per portare un peso che non ci siamo scelti.

Possiamo solo continuare. Continuare a ricominciare. Come gli abitanti che difendono un territorio anche se a pezzi, come un popolo che perde la propria terra per salvare i propri figli.

Ricominciare. E continuare perché la speranza ci spinge e ci fa accorgere che è assurdo distruggere. Ma a noi succede se non difendiamo il giardino della nostra interiorità, se non custodiamo i nostri pensieri e le nostre volontà.

Non possiamo fermare la terra che trema  ma possiamo costruire meglio (costa), condividere di più (costa), aiutarci (costa). E se non riusciamo a fermare le guerre possiamo sempre accogliere chi ha bisogno (costa), cambiare le nostre abitudini economiche (costa), educare meglio i nostri figli (costa).

Forse potremmo allenarci nella perseveranza e in un modo di amare che sappia veramente dare la vita partendo dal dare il nostro tempo, le nostre energie, le nostre risorse. Pietra su pietra. Stavolta non per distruggere ma per erigere.

Forse anche questo è essere fedeli al suo nome. Che tra l’altro significa “Dio Salva”. Ed è per questo che mi è più facile provare a dare tutto a me stesso. 

Lc 21, 5-19

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita

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6/11LASCIA FARE. A DIO.

Lascia fare. A Dio. Cioè tu datti da fare ma non impedire a Dio di essere Dio. Non chiuderlo in schemi mentali riduttivi o in circoli cinici da quattro soldi. Non fare come i sadducei che non volendo credere alla risurrezione creano un caso la cui risposta umana è ovvia.

Ma appunto umana. Dio è Dio. La sua forza è di essere altro da me, anzi Altro da me. La sua forza è la risurrezione che dice che alla fine la vita vincerà perché, se  di fronte alla morte tutti gli uomini rimangono sbigottiti e senza speranza, Dio ha qualcosa da dire. Ed è un tutto dire!

Lascia fare. A Dio. Di fronte alla morte, ai problemi, a quello che sembra impossibile, lascia fare a Dio. Perché con lui punterai e punteremo più in alto.

Ricorda quello che succede a una coppia di sposi che deve affrontare un lutto insensato, il crollo di una casa… tutti e due sono immersi nel dolore e nessuno dei due sembrerebbe poterne uscire ma insieme… Insieme ce la fanno. O almeno ce la possono fare. E se questo avviene tra umani che si alleano, chissà cosa accadrà se l’alleanza è con Dio.

Ha detto bene don Luigi Maria Epicocochi ti ama non ti toglie i problemi, ma li vive con te perché tu possa affrontare la vita anche quando è difficile. Dio ti ama da Dio. E limitarlo e chiuderlo in schemi umani è come bestemmiare. Per questo è assurdo ipotizzare castighi divini: il male c’è e Dio lo combatte di fianco all’uomo affidandosi all’uomo. L’uomo riesce a vincere perché si allea con Dio e con gli altri uomini. Per questo esiste anche un miracolo di fare bene il proprio lavoro creando case che reggano. Per questo esiste il miracolo di chi continua a credere dopo un momento terribile.

Ecco, la fatica di questa settimana è questa: creare una relazione con Dio, ricordandosi chi sono io e chi è lui.

Ricorda la mia fatica da sposo:  è stare ogni giorno con mia moglie ricordandomi che prima di tutto è Laura, che è sempre al di là di ogni mia definizione o conoscenza, che mi può sorprendere ancora dopo tanti anni di matrimonio. E se questo avviene tra umani…

Lascia fare Dio, a Dio. Lasciagli il suo compito, e scoprirai il miracolo della risurrezione che prima di essere una speranza post mortem è un faro che illumina questa vita e ogni suo benedetto giorno.

E ovviamente lo dico a me… Lascia fare a Dio, Dio, Gigi. Sei vivo. Ti manca solo di vivere da risorto.

Lc 20, 27.34-38

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

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30/10 CAMBIARE ORA

C’è qualcosa che unisce il vangelo di domenica, il cambiamento dell’ora e la festa di Ognissanti.

È l’imminenza del desiderio di cambiare, di dare una direzione giusta, di trovare la propria strada.

Ma bisogna anche iniziare a cambiare ora, adesso. Come fa Zaccheo, che inizia a cambiare salendo su un sicomoro. Certo un cambiamento un po’ da vigliacco, verrebbe da pensare. Ma lo si può pensare solo guardando la fine del percorso. In realtà dal punto di vista dell’inizio è un grande passo avanti.

Il coraggio di cambiare ora (adesso) è il coraggio di fare il primo passo. Basta quello perché Dio ci ami e ci guardi in un modo nuovo. O meglio basta quello per notare lo sguardo d’amore che Dio già da tempo ci mostrava.

Cambiare ora (il tempo) significa risintonizzarsi sul sole, spostare le energie su quello che pensiamo conti di più.

I santi sono quelli che hanno cambiato ora, cioè il proprio tempo, partendo da un cambiamento iniziale, un primo passo che ha segnato la destinazione di tutti gli altri successivi. E cambiando il loro tempo personale, hanno cambiato anche il loro tempo culturale.

Quando cambiamo l’ora c’è sempre un pro e un contro: se si dorme in più le giornate si accorciano, se le giornate si allungano si dorme di meno. Nella conversione il contro è la fatica che si fa a iniziare e a continuare. Ma la bellezza è la nuova vita che ci aspetta: Zaccheo che si nascondeva, nascondendo il suo desiderio di vita nuova, scopre la gioia di poterla vivere dopo essere stato scoperto da Gesù. 

Questa è la forza di cambiare ora la nostra ora. Possiamo farlo solo se siamo scoperti di Gesù, ma ci accorgiamo scoperti da Gesù quando abbiamo fatto il primo passo. Ora.

Buon onomastico a ciascuno.

Buona settimana a tutti.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 19,1-10)

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

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23/10 GIUSTO UN UOMO O UN UOMO GIUSTO?

Non so quanto Claudio Baglioni pensasse a farisei e pubblicani, ma “…chiedere perdono se non sono un uomo giusto, ma sono giusto un uomo” è sicuramente la colonna sonora di questa settimana.

Non possiamo diventare santi se non da peccatori. L’ho sentita un giorno da un grande teologo, Severino Dianich, l’ho fatta mia e la ripeto continuamente. Perché farsi santi è una questione di relazione tra due persone: me e Dio. E solo quando capisco le mie finitudini posso accettare gli infiniti di Dio.

Ma a dire il vero io sono come il fariseo: sto in piedi con lo sguardo dritto, invoco Dio sì, ma solo per affermare me stesso come Dio. Così posso dire che qualcuno è peggio di me e stare tranquillo.

A tutti dico che io sono come il pubblicano perché è più di moda, ma in realtà no. Perché il pubblicano entra a pezzi, si affida a Dio ma non sa che tornerà a casa giustificato. Lo sa Dio. E la relazione con Dio è sempre impegnativa, perché relazionarmi con Dio significa scoprirmi sbagliato, peccatore… e incredibilmente amato in tutto questo. Perché solo attraverso questo dramma di consapevolezza posso scoprire la forza di un Dio che mi ama al di là di tutto.

Sono giusto un uomo. Non posso non sbagliare. Anzi, peccare è l’unica cosa che posso fare da solo senza averla ricevuta da Dio. Perciò, come diceva Chiara Lubich, è l’unica cosa che posso donargli interamente. E lui lo vuole il mio sbaglio, il mio peccato. Lui che lo sa sconfiggere, me lo chiede, perché quando gliele dono ho fatto un passo in più di relazione.

Sono giusto un uomo. Ma quando mi relaziono con lui divento l’uomo giusto, o meglio giustificato. Che significa essere giusto sapendo che qualcuno ti ha fatto giusto.

Perché diventare veramente uomo è un compito talmente alto che serve Dio per compierlo.

Giusto, no?

Buona settimana.

Lc 18,9-14

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
 
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
 
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
 
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

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16/10 – TEMPI PER CREDERE, TEMPO DI CREDERE

Fede, fiducia e fedeltà sono tutte imparentate con il tempo.  Parenti stretti. Se infatti per fidarti hai bisogno di tempo e nel tempo mostri la tua fedeltà che non è venuta meno, così anche la fede ha bisogno di tempo per respirare. Fede è credere qualcosa. O in qualcosa. E In Qualcuno. Ma è fede anche adempiere una promessa. E in tutti i casi il tempo fa la differenza.

C’è il tempo del chiedere. Dell’insistere. E insisti solo se ci credi.

C’è il tempo dell’attesa. E ci va di fede per attendere che altro non è che stare in tensione verso il momento del lancio.

C’è il tempo del mantenimento con il logorio della vita quotidiana, campo ideale per la mediocrità sempre in agguato.

C’è il tempo di Dio. Che pare immediato. Pronto a fare giustizia. Ma la richiesta era tale? Era giusta? Dio ci farà ciò che è giusto. E così mentre chiediamo qualcosa per la felicità, Dio ci fa felici dandoci altro. E noi, non pensandolo come soluzione, spesso lo rifiutiamo.

Forse è per questo che non riusciamo a resistere nel tempo. La tentazione di essere Dio è sempre forte: siamo noi che vogliamo chiedere e vogliamo esaudire o meglio esaudirci. Così facendo Dio non ha più spazio. È per questo che il dubbio di Gesù è più che lecito. Avremo ancora fede domani? O ci mancherà il tempo perché l’abbiamo investito da qualche altra parte?

E di tempo pare ne serva parecchio visto che si parla di “gridare giorno e notte”. Se è così, forse uno farebbe prima a orientare direttamente tutta la sua vita, e quindi il suo tempo, verso Dio. Almeno non ci sono più problemi di tempi. Ma questa scelta è di nuovo una scelta di fede. Circolo vizioso o virtuoso? Dipende da noi. Dipende dalla nostra fede. Dalla voglia di iniziare. Perché niente di importante dura solo un momento, ma ha inizio sempre con un momento.

Buona settimana. 

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Parola del Signore

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9/10 DISTRATTI DI VITA

Non me ne ero mai accorto.

Per lo meno non così tanto. Cioè del fatto che se tutti e dieci lebbrosi sono stati guariti, allora la fede dovevano averla avuta tutti. Il vangelo è chiaro: a volte Gesù non ha potuto operari miracoli a causa dell’incredulità degli uomini. Ma questi sono stati guariti tutti grazie alla fede, eppure a salvarsi è solo l’ultimo per fede… qualche domanda sorge spontanea, no?

Ripercorriamo la scena. 10 lebbrosi. Numero e caratteristiche atipiche. 10 non è un numero molto gettonato nella Bibbia, se non per i 10 comandamenti. E se il 10 non era proprio nella top… ten, i lebbrosi erano decisamente out: oltre al problema della malattia c’era l’esilio da tutto e da tutti.

Quindi 10 lebbrosi vanno da Gesù ed è normale che non ce la facciano più. Gesù gli chiede di fidarsi talmente tanto da andare subito a presentarsi al tempio per far vedere che erano guariti e quindi essere riammessi nella società. Tutti e 10 guariscono. Per fede. Ma uno torna. È un samaritano, un escluso ancora più escluso perché non crede nello stesso modo dei Giudei. Ma lui torna. E ringrazia. E io capisco.

Non mi accorgo.

Di quello che ho. Di quello che ho ricevuto e che ricevo. Dei miracoli quotidiani che vengono fatti in me e vicino a me. Anche io chiedo sempre a Dio, ma poi raramente ringrazio veramente. Perché ringraziare è più che dire grazie è rendere grazie, è restituire, è riconoscere. E qui sta la vera fede.

Ora me ne accorgo.

La fede non è solo questione di testa, ma di vita. Anche il diavolo sa che Dio c’è ma non si fida e affida a lui. Credere significa pensare che Dio oltre a esserci è competente della mia vita, se ne può occupare. Per questo il credente è uno che ringrazia Dio, perché sa che tutto viene da Lui e tutto da Lui si riceve.

Chi non si accorge della presenza di Dio nella propria vita è un distratto: pur essendo Dio ovunque lui è sempre altrove.

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. 

Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 

Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 

Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».